I pericoli di una legislazione frettolosa
Di Giovanni Duni.
Il dibattito televisivo tra Matteo Renzi e Gustavo Zagrebelsky ha avuto ampio risalto nel mondo politico e nella stampa. Tuttavia un punto importante dell’impostazione di Zagrebelsky è sfuggito ai più, probabilmente perché spiazzava sia i favorevoli al SÌ sia i fautori del NO.
È sfuggito infatti che l’autorevole costituzionalista valorizzava la funzione della seconda Camera in un sistema bicamerale. Una delle tesi del NO è infatti che la riforma non elimina del tutto il bicameralismo (come anche molti fautori del NO vorrebbero), poiché il nuovo Senato manterrebbe alcune particolari ma importanti competenze legislative, indicate nei “nuovi” articoli 55, 57, 65 e, soprattutto 70, primo comma. Il punto merita alcune considerazioni, anche andando contro la quasi unanimità delle opinioni contro il bicameralismo perfetto, che determinerebbe il così detto ping pong nel procedimento legislativo e quindi un rallentamento della funzione legislativa.
Le brevi considerazioni che seguono riguardano solo la funzione legislativa e non la fiducia al Governo e comunque sono scritte nella consapevolezza che è preso in considerazione solo un profilo della complessa problematica della riforma costituzionale. Un profilo tuttavia di preponderante importanza. Neppure si intende intervenire sul tema della riduzione del numero dei parlamentari e delle loro prebende.
Nella sua pacata esposizione, Gustavo Zagrebelsky sottolineava che la Camera che esamina per seconda un testo di legge funge da utile controllo dell’attività della prima.
Questa osservazione è piena di profonde ed importanti implicazioni. L’Italia è uno degli Stati moderni più ricchi di leggi e, come scriveva Michela Finizio sul Sole 24ore on line del 15 aprile 2015, ogni giorno si producono mediamente 21 pagine di nuovi provvedimenti normativi. Molte leggi sono inapplicate o applicate male e spesso si emanano leggi solo per rimediare alle mancate o improprie applicazioni di leggi che, se ben applicate, potrebbero essere ancora utili. Anche le leggi di semplificazione sono testi dalla struttura alquanto complessa. Alcune leggi risalgono all’unità d’Italia e sono universalmente riconosciute come tuttora valide non solo formalmente, ma anche nei contenuti.
Nessuno può quindi affermare che si senta una generale carenza di leggi. Vero è che l’evolversi della società ne richiede un frequente aggiornamento: modifiche di vecchie leggi e nuove leggi, alcune attuative di direttive europee. Dobbiamo tuttavia chiederci: c’è sempre la fretta di provvedere ad horas? L’evoluzione della società avviene dalla sera alla mattina o è un processo graduale sul quale intervenire con la giusta ponderazione?
Certamente eventi improvvisi, quali un terremoto, possono richiedere leggi urgentissime, ma per questi casi l’impiego del Decreto Legge non è certamente un abuso. Ma per tutti gli altri casi il tanto paventato ping pong tra una Camera e l’altra non può essere visto come un utile approfondimento dei problemi? Nulla vieta del resto di porre qualche norma che ne limiti gli eccessi.
Il bicameralismo prefetto crea problemi quando la composizione delle due Camere è politicamente molto diversa l’una dall’altra a causa di sistemi elettorali diversi. Ciò può creare gravi paralisi nell’attività politica e legislativa. La Costituzione dovrebbe contenere una norma di principio che impedisca sistemi elettorali con tali effetti, anche attribuendo premi di maggioranza in entrambe le Camere, volti a prevenire tale paralisi: questa è la vera modifica necessaria.
La riforma su cui si dovrebbe votare il 4 dicembre, viceversa, crea un Senato con poteri inferiori a quelli attuali (non vota la fiducia e non ha competenza legislativa generale), ma ha comunque le importanti funzioni legislative previste nei nuovi articoli 55, 57, 65 e 70. Ebbene, su queste competenze il dissenso con la Camera potrà esplodere in modo molto più acceso di quanto accade oggi, data la composizione molto particolare del nuovo Senato, totalmente difforme dalla Camera.
Viceversa un bicameralismo con Camere non troppo disomogenee comporta una sana e non ostruzionistica collaborazione, volta a eliminare gli immancabili difetti della prima stesura del testo legislativo. Già oggi, pur con il bicameralismo, escono leggi con sviste tecniche colpose o volute, e ricche di clientelismi lobbistici. Lo scandalo raggiunge i suoi massimi nelle leggi pluritematiche, con pochi articoli, ognuno composto da varie centinaia di commi dai contenuti più disparati, spesso introdotti come emendamenti dell’ultimo momento, sotto pressioni non sempre limpide, ed approvati senza alcun approfondimento dell’assemblea.
Una volta era buona norma approvare leggi con contenuti omogenei e con un titolo che ne identificasse il contenuto. A questa sana e vecchia prassi si dovrebbe ritornare (magari scrivendo un’indicazione di principio nella Costituzione); ciò è necessario sia per la chiarezza verso i cittadini, sia per la serietà del voto che il parlamentare esprime sulla legge complessiva: non ha alcun senso costringere il membro del parlamento a votare sì o no su di una legge che contiene importanti e utili disposizioni ma anche disposizioni sbagliate, lobbistiche e disdicevoli.
Immaginiamo come questi difetti si ingigantirebbero con unica Camera avente potestà legislativa. Cadrebbe ogni remora a introdurre emendamenti aggiuntivi dell’ultimo momento sbagliati o dettati da interessi disapprovabili, nella consapevolezza che il testo andrebbe direttamente in Gazzetta ufficiale senza nessuna fase di intervallo di meditazione e senza alcuna pubblicità intermedia che lo esponga alle critiche di esperti esterni, giornalisti e cittadini. Critiche che spesso hanno fermato parti ignominiose, messe in risalto durante questo intervallo e quindi bocciate dalla seconda Camera.
Resta aperto il discorso se è utile una seconda Camera solo per questa funzione di rimeditazione e riapprovazione, oppure se la seconda Camera debba avere una rappresentanza di tipo differente, ed in particolare se debba avere una composizione rappresentativa delle autonomie locali, essendo eletta con sistemi uninominali e circoscrizioni a base regionale. Chi ritiene che così debba essere apre la possibilità del conflitto tra le due Camere, salvo a trovare il rimedio del “Comitato di conciliazione”, di cui ha parlato anche Massimo D’Alema in televisione, con poteri decisori finali. Oggi, «il Senato della Repubblica è eletto a base regionale» ma sappiamo che la rappresentanza delle autonomie locali negli ultimi anni è sempre stata sopraffatta dagli schieramenti politici nazionali. Gli interessi locali sono stati portati avanti nelle due Camere in modo diverso: con una spinta bipartisan dei parlamentari provenienti dall’area interessata in entrambe le Camere. Per conciliare meditazione delle leggi ed esposizione in itinere al pubblico giudizio con l’esigenza di evitare conflitti, la soluzione è quella di due Camere con maggioranze politiche omogenee, che lavorerebbero in armonia e quindi con tempi rapidi.
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